Attualità

Prendersi cura al contrario: accudimento e amore in quarantena

La nostra società considera il tempo come il bene più prezioso che possediamo. Scaffali e scaffali di librerie sono occupati (nei negozi e talvolta anche nelle nostre case) da manuali che consigliano metodi più o meno efficaci, scientifici e bizzarri per recuperare il cosiddetto “tempo perduto”, come se fosse oggettivamente misurabile un gesto che ne fa perdere. Chi decide che fare una cosa piuttosto che un’altra è una perdita di tempo? Ad ogni modo, questa concezione del tempo si riflette non solo sul mondo del lavoro, ma anche in quello degli affetti.

Prendersi cura di un anziano, di un malato o di un bambino richiede sempre del tempo: del tempo da passare insieme, logicamente. La maggior parte dei lavoratori è strenuamente affannata alla ricerca di tempo da passare con i propri figli, o erosa dai sensi di colpa per non dedicarne abbastanza ai propri anziani genitori, tanto che la prima cosa di cui si rammaricano, alla loro morte, è di non aver “trascorso abbastanza tempo assieme”.

Questa quantena, dunque, ci dovrebbe dare, almeno in teoria, la possibilità di passare molto tempo con chi amiamo e accudiamo (chi accudisce, molto spesso, a sua volta con la sua presenza); invece paradossalmente la possibilità di dedicare del tempo a sé, agli altri e al rapporto tra le due cose si manifesta in un distanziamento doloroso ma necessario.

Nei giorni del Coronavirus, la concezione di accudimento fatto di tempo speso “insieme” è stata completamente ribaltata. Non c’è atto di maggiore responsabilità che stabilire delle distanze spaziali inaccessibili col prossimo; e se questo può far felice qualche misantropo della domenica, quei pessimi poseur della peggiore posa possibile, va comunque segnalato che il cambiamento di paradigma sorprende anche il più solitario degli individui.

Posto che un anziano è, per esempio, in grado di capire l’adozione di questa misura, il distanziamento sociale, come necessaria, come la mettiamo con un bambino che non può correre in braccio al padre appena rientrato da lavoro? Come fargli capire che quel distanziamento sociale è una forma di accudimento, di protezione della sua salute, della sua integrità? Come rendere fruibile il concetto della lontananza forzata come gesto d’amore?

Siamo abituati a considerare il tempo dell’accudimento come un tempo trascorso CON qualcuno, negli stessi spazi, condividendo fisicamente un luogo e la nostra presenza. Ma da oggi, il tempo dell’accudimento sarà anche un tempo trascorso SENZA qualcuno. Un amore in absentia, acorporale, destrutturato della componente del contatto.

Non è il caso di allarmarsi e vedere dei pericoli, anzi.

Forse ci sembrerà meno ingombrante chi amiamo, dopo la quarantena. Ma solo se non avremo interiorizzato come normale l’accudimento in assenza, che, lo ribadiamo, è una cosa brutta, antiumana, triste, ma necessaria.

Trent'anni e innumerevoli passioni, tutte noiose. Scrivo di libri, di attualità, e di libri che parlano di attualità, ma solo con penne stilografiche.

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