Curiosità

Controllo e seduzione nelle scarpe delle donne nel passato

Come al solito i miei articoli hanno titoli provocatori, ma anche questa volta scoprirete che non sono messi lì a caso. Quando il tacco nacque, in quella forma che conosciamo tanto bene, lo portavano soltanto gli uomini, perché era nato nel mondo della cavalleria e quindi associato alla nobiltà e al potere. Vi rimando all’articolo L’origine dei tacchi per approfondire il discorso. Ma quando allora le donne cominciarono a portare le scarpe col tacco?

Vi ho già parlato di quando, per emanciparsi, le donne cominciarono a vestire come gli uomini, e tra le altre cose scelsero di indossare scarpe con il tacco. Ma non sapevano che la loro emancipazione, passata attraverso quel rialzo, sarebbe con il tempo diventata strumento di controllo sulla loro stessa persona

Già nella seconda metà del XIX secolo, e cioè dopo il 1840, i tacchi conobbero una nuova diffusione. Li abbiamo lasciati sulle soglie del secolo, quando col diffondersi delle teorie illuministe e lo scoppio della rivoluzione francese l’uso del tacco fu letteralmente ghigliottinato insieme ai nobili che li indossavano. Maria Antonietta, nel 1793, venne decapitata con paio di scarpe alte 9 centimetri ai piedi.

In Francia Napoleone bandì l’uso dei rialzi, segnando un preciso punto di svolta con il passato, così che i cittadini fossero tutti messi sullo stesso piano. Ma la consuetudine dei ricchi di indossare scarpe alte, mentre il popolo camminava su scarpe basse, vecchie e quasi sempre fuori taglia, non tramontò mai del tutto. Nell’Inghilterra vittoriana, il tacco riapparve in tutto il suo splendore, ma con una precisa eccezione: a portarlo erano ormai solamente le donne.

Il tacco nell’epoca vittoriana. 

Il mondo vittoriano vedeva nel piede femminile un vero simbolo di perfezione, purché questo fosse piccolo, proporzionato e delicatamente incurvato. I piedi minuti erano considerati aristocratici, mentre piedi di grandi dimensioni erano tipici, secondo la mentalità del tempo, delle anziane zitelle. Vi ricorda qualcosa? 

Le donne vittoriane tendevano ad indossare scarpe di taglia piccola, spesso troppo piccola; si fasciavano i piedi con nastri di seta per ridurne apparentemente le dimensioni e li strizzavano dentro scarpe minute, un po’ come facevano soffocando il proprio torace in corsetti strettissimi. 

Il piede piccolo era considerato venerabile e addirittura desiderabile, soprattutto se associato ad una scarpa con il tacco, che ne rialzava il collo, donando alla sua forma un aspetto classico e decoroso. Il piede dal collo alto era del resto associato all’aristocrazia europea, mentre il piede “basso” si accostava più di frequente all’etnia afro-americana, che soprattutto nel Nuovo Mondo veniva sfruttata nei lavori domestici. Anche le scarpe avevano un loro significato sociale, e le scarpe col tacco, con la loro altezza, erano perfette per simbolizzare i vari gradini della società.

Nel periodo vittoriano la scarpa in genere ebbe una grande risonanza, perché con lo sviluppo della tecnica cominciarono a diffondersi le prime macchine da cucire e fu più facile ideare e sperimentare nuovi modelli. Le scarpe si acquistavano ormai in negozi specializzati. Quelle delle donne erano molto decorate e ricche di elementi preziosi, come fiocchi e cinturini. Il tallone aveva una forma molto arcuata, sottolineato anche dalla posizione del tacco, che forse rendeva la camminata piuttosto scomoda.

Tipici di questo periodo erano gli stivaletti femminili con cuciture anteriori o laterali. Potevano essere di capretto o raso trapuntato; venivano indossate anche in casa e durante il passeggio, ed erano sempre associate con decoratissime e preziose calze di lana per l’inverno e seta per l’estate. Nell’Ottocento si diffuse anche per le donne lo stivale da equitazione con sperone, nappe e tacco. Era la prima volta che le donne indossavano stivali, una calzatura fin qui unicamente maschile. 

Ma quanto erano comode queste scarpe da donna?

Partendo dal presupposto che le scarpe del passato in generale erano più scomode delle nostre, quelle femminili dell’Ottocento dovevano essere particolarmente disagevoli da indossare. Essendo piuttosto piccole, probabilmente erano anche dolorose e portarle poteva trasformarsi una vera tortura. Le donne insomma erano costrette a vestire scarpe scomode per compiacere una moda al principio ideata dagli uomini, e questo rispecchiava a pieno tutta la condizione sociale e umana della donna del tempo: una donna completamente sottoposta all’autorità maschile.

Scarpe da tortura.

Studiando le scarpe femminili in questo e in altri tempi, c’è addirittura chi ha avanzato l’idea che la calzatura femminile fosse un vero e proprio strumento di controllo e, talvolta, di tortura. L’altezza, che non sempre possiamo definire propriamente un “tacco”, non era infatti un elemento nuovo per le scarpe femminili. 

Già tra il Quattro e il Cinquecento, a Venezia e in Spagna erano diffuse le chopines, dette anche “pianelle”, delle calzature che definire alte sarebbe quasi riduttivo. Nate forse dall’esigenza di tenere i piedi al sicuro dallo sporco delle strade di città, le chopines divennero una calzatura tipicamente femminile, con dimensioni spropositate, che in certi casi arrivarono a sfiorare i cinquanta centimetri di altezza! Muoversi con queste scarpe ai piedi era davvero impossibile e rendeva i movimenti goffi, forse persino buffi; le donne si aiutavano con dei bastoni o si facevano sorreggere da una coppia di servi. Ma era di fatto impossibile anche solo poter pensare di “fuggire” con questi trampoli ai piedi.

Una cosa simile succedeva in Oriente, in particolare in Giappone, dove si diffusero gli okobo, gli zoccoli alti tipici delle geishe. Queste calzature, secondo alcuni, avrebbero impedito alle donne giapponesi di allontanarsi dall’harem dell’imperatore

E la stessa cosa sarebbe successa per secoli in Cina, dove le donne erano costrette ad indossare scarpe minuscole, deformando i loro piedi per un’assurda idea di bellezza che in fin dei conti non era altro che una vera e propria costrizione sociale. Nella Cina di quel tempo, nessuna donna con i piedi “grandi” avrebbe trovato marito, perché nessun uomo accettava una moglie con i piedi… “normali”. 

Come vedete, la storia delle scarpe femminili, anche prima del tacco, è stata una vera tortura.

Ma quando ci si liberò da tutto questo? Quando cioè il tacco uscì dal mondo della sottomissione per entrare in quello della seduzione?

Tacco e pornografia.

Già la cultura vittoriana aveva associato il tacco alla femminilità, tanto che nell’America Puritana dell’Ottocento indossare tacco era visto come una sorta di stregoneria. Nella colonia del Massachusetts si arrivò a vietarne l’uso, perché la sua visione irretiva la mente dell’uomo, costringendolo a sporchi pensieri.

Ma fu probabilmente l’uso dei tacchi nella fotografia a luci rosse che creò uno stretto e duraturo legame tra la donna, il tacco e la sensualità. Intorno alla metà dell’Ottocento si diffusero le prime macchine fotografiche e, quasi immediatamente dopo, nacque la fotografia pornografica. Cartoline in bianco e nero, con donne poco vestite e immortalate in posizioni sensuali, circolavano, spesso in modo illegale, tra gli uomini del tempo. In queste immagini le donne indossavano quella che doveva essere la “biancheria osé” del tempo e ai piedi portavano proprio le scarpe con il tacco

Fu forse così che si arrivò all’idea che ancora oggi associa il tacco, soprattutto se molto alto, alla sensualità femminile. E questo è, per forza di cose, ormai un “pregiudizio” piuttosto duro a morire.


Fonti:

https://www.bigodino.it/moda/la-storia-delle-scarpe-con-i-tacchi.html

http://www.bergamopost.it/tendenze/controversa-storia-tacco/ 

https://www.tpi.it/2018/03/31/storia-scarpe-col-tacco/

https://www.collectorsweekly.com/shoes/overview

https://en.wikipedia.org/wiki/Chopine

https://it.wikipedia.org/wiki/Okobo

https://it.wikipedia.org/wiki/Loto_d%27oro

Ventinove anni e un nome insolito. Ho cominciato a scrivere storie poco più tardi di quando ho cominciato ad ascoltarle, prima da mia madre, poi da mia nonna, poi da chiunque ne avesse una da raccontare.

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