Cucina

Le “Cancellate” abruzzesi: la ricetta della nonna

Cancellata” è il nome che la contraddistingue nel triangolo teatino compreso tra Bucchianico, Villamagna e Ripa Teatina, ma a dire il vero è nota un po’ su tutto il territorio con i nomi più disparati. Nessuno mai ne parla, ma nel vastese le “Pizzelle” si chiamano anche “Catarrette”, mentre nella Marsica sopravvivono con l’appellativo di “Ciaragalle”, misteriosamente scomparso nella marea del web; conosciute poi tra Pretoro e Manoppello come “Ciambelle”, attestano la forma “Cancelle” al confine coi cugini molisani, là dove il Molise esiste.

Le sue origini sono avvolte nel mistero. Le cancellate, che nella fattispecie altro non sono che un dolce apostrofo tra le piastre di un ferro decorato, compaiono sul territorio abruzzese già sul finire del Settecento. Il “Ferro”, importantissimo strumento del mestiere, era al tempo già fabbricato dai mastri armaioli guardiesi (di Guardiagrele), che ne incidevano le sezioni interne con la data e il nome della famiglia che lo avrebbe acquistato. Si parla naturalmente di famiglie facoltose, anche se il Ferro delle cancellate era diffuso un po’ presso tutte le classi sociali: si è mantenuta a lungo l’usanza di conteggiarlo tra le “varie e indispensabili” che componevano la lista nozze delle donne dell’epoca, quello che ancora oggi si chiama “corredo femminile”, o più semplicemente dote.

Oggi la fanno da padrona i ferri a “cuoricino”, che presentano un’ottima resa quantità-prezzo: e cioè, vi permettono di fare cinque cancellate alla volta, mettendo in crisi tutto il cristiano spirito di sacrificio della nonna, che elegge a miglior ferro universale, senza la minima ombra di dubbio, quello a “rettangolo”, proprio in virtù della lentezza con cui sforna (si fa per dire) una sola cancellata alla volta.

Ma ne esistono numerose varianti: i ferri possono essere rotondi, a ventaglio, e con disegni dalle forme più fantasiose. Forse proprio dalla diversità dei loro disegni dipende la varietà dei nomi, nonché la diversa consistenza, che può andare dalla Pizzella croccante (spesso di forma circolare) alla Neola morbida (con la caratteristica forma “a cancello”. E indovinate da dove proviene il termine “cancellata”?). State però attenti a non confondere la “Neola” con la “Nevola” ortonese. Benché infatti il termine “neole” (da leggere in dialetto, con la “e” finale muta) tenda facilmente a scivolare nella forma “nevele” (“nev’le”), la città di Ortona vanta il primato per una tradizione unica, quella delle “Nevole” al mosto cotto che, oltre al ferro come arnese di cottura, ha davvero ben poco da spartire con tutte le altre neole-cancellate-ferratelle.

Nella cultura abruzzese antica e moderna del resto la Cancellata riveste un ruolo notevole. Ne è una riprova il fatto che compaia in forma di (dolce) “offerta” ai festanti delle celebrazioni rituali di mezzo Abruzzo. Per citarne un paio: il Banderese di Bucchianico (CH) e la Sfilata dei Palmentieri di Caramanico Terme (PE). In passato si preparavano per le occasioni importanti, e tra le altre la nonna ricorda i lieti eventi delle nascite, quando si facevano “due cancellate” (quelle rettangoli, per carità!) come regalo e buon auspicio per le giovani partorienti.

La ricetta è in fondo molto semplice da fare e (che ve lo dico a fa’?) decisamente semplice da mangiare. Gli ingredienti per una “dose” (le “due” cancellate di cui poco sopra) della nonna (con accanto la trascrizione in grammi per i poco avvezzi):

12 uova;

24 cucchiai | circa 500g di zucchero;

12 cucchiai | circa 150 g di olio evo;

4 cucchiaini da caffè | circa 20g di lievito;

14 cucchiai abbondanti | circa 600g di farina 00.

Tra i possibili “aromi naturali” (ma naturali veramente) consigliamo: scorza di limone o anice in chicchi.

La tradizione prevede che il tempo di cottura si calcoli con una Avemaria per il primo lato e un Paternostro sul secondo. Sperimentare per credere.

Ventinove anni e un nome insolito. Ho cominciato a scrivere storie poco più tardi di quando ho cominciato ad ascoltarle, prima da mia madre, poi da mia nonna, poi da chiunque ne avesse una da raccontare.

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