Personaggi

Mary “Tifoide”: l’untore più famoso della storia

In tempi di epidemie, la narrazione è una delle attività umane che più di tutte allontana la paura. Senza scomodare Boccaccio e il suo Decameron, non c’è niente di meglio di una storia sulle malattie per farsi passare la paura. Valli a capire, questi esseri umani. Questa è la storia di un untore vero, un untore pericolosissimo perché ignaro prima, e insano poi.

La portatrice “insana”.

Mary Mallon nasce a Cookstown, in Irlanda, nel 1869. Ancora ragazzina, emigra negli Stati Uniti, alla maniera dei tantissimi che sbarcarono su quelle coste dalle colline irlandesi (e che nei film di Scorsese sono sempre gli antenati di Leonardo Di Caprio).

Inizia molto presto a lavorare come cuoca, conducendo una vita, per il tempo e per la classe sociale di partenza, tutto sommato agiata. Senonché il 27 Agosto del 1906 la figlia del banchiere Charles Herry Warren, a cui ogni giorno Mary cucina colazione, pranzo e cena, si ammala di tifo.

Le cause di questo contagio sono così misteriose che il banchiere affida il caso a un ingegnere sanitario, che con le conoscenze mediche dell’epoca faceva un lavoro molto simile a quello di Sherlock Holmes: un tale George Soper, persona meticolosissima e molto curiosa (come Sherlock ci piace immaginarlo con pipa e bombetta), che non esita a informarsi e successivamente interrogare tutta la servitù di casa Warren in servizio negli ultimi dieci anni.

All’appello, alla fine dei conti, manca lei: Mary Mallon. Si scopre così che non solo la donna se l’è data a gambe non appena saputo della malattia, ma anche che in tutte le case dove ha prestato servizio negli ultimi anni ci sono stati casi di tifo.

La febbre tifoide: precisazioni.

Il tifo è una malattia batterica. Nella maggior parte dei casi le epidemie si sono verificate in luoghi dalle condizioni igieniche estremamente precarie. Ad Auschwitz ad esempio, tra il 1943 e il 1944, decine di migliaia di prigionieri e diverse guardie morirono di tifo.

Appariva perciò molto strano che la malattia si presentasse nelle case ben tenute di gente facoltosa.

La caccia al campione.

Ad ogni modo, facendo due più due, il buon Soper si mette letteralmente alla caccia di Mary Mallon, e non per arrestarla ma per carpirle un campione di fluidi corporei, così da verificare l’ipotesi della portatrice sana. Con molta perizia investigativa ma con pochissimo tatto, l’uomo si presenta nelle cucine dove Mary lavora e le chiede letteralmente (fialette in mano) un campione di sangue, feci e urina.

 Il suo resoconto dei loro pochi incontri ha quasi del romanzesco:

            “Parlai per la prima volta con Mary nella cucina di casa. Immagino che fu un tipo di colloquio insolito, soprattutto se si tiene conto del posto. Fui quanto più diplomatico possibile ma dovetti dirle che sospettavo che lei diffondesse una malattia e che volevo i suoi campioni di urina, feci e sangue”.

George Soper.

Mary non prende affatto bene questa richiesta:

            “Afferrò un forchettone da arrosto e avanzò nella mia direzione. Io percorsi in tutta fretta il corridoio lungo e stretto, varcai l’alto cancello di ferro e il cortile, e arrivai al marciapiede. Mi sentivo assai fortunato ad esserle sfuggito. Confessai a me stesso che avevo iniziato con il piede sbagliato. A quanto pare Mary non capiva che volevo aiutarla”.

George Soper.

Soper si accorge quella sera che cercare di far ragionare la Mallon da sola è un’impresa non da poco; decide così di passare per vie traverse. Ogni buon detective che si rispetti nei film noir ha sempre un informatore: in questo caso, si trattò della persona a cui la cuoca pagava l’affitto e che pare fosse il suo unico amore: un tale Breihof, che fu corrotto con dei soldi e dell’alcool (che per gli alcolisti è ciò che si compra coi soldi, quindi una fatica in meno).

Quasi nutile dire che il trasporto in ospedale di Mary fu molto movimentato:

            “Si batté e si dimenò ed imprecò. Cercai di spiegarle che volevo soltanto quei campioni e poi sarebbe potuta tornare a casa. Lei si rifiutò di nuovo e io dissi ai poliziotti di bloccarla e portarla all’ambulanza. Così facemmo e il viaggio verso l’ospedale fu assai movimentato.”

Sara Josephin Baker

Mary Mallon rischiava di diventare una sorta di superuntore, e la resistenza che oppose fece pensare all’epoca che i contagi potessero essere volontari.

Nel 1907 la donna viene posta in quarantena ed è in questo periodo che la notizia della sua storia comincia a circolare: i quotidiani del tempo la soprannominano “Typhoid Mary”, Mary “la tifoide”.

La fuga di Mary.

In quarantena, la donna riesce a trovare un ottimo avvocato, che la tira fuori, lasciando sbalorditi tutti coloro che avevano rischiato il contagio (e in qualche caso una coltellata) per metterla in isolamento.

Ma il problema si ripresenta pochi anni dopo, nientemeno in un ospedale: una delle lavandaie, che si fa chiamare Mary Breihof come il cognome del compagno ormai defunto, corrisponde alla descrizione fisica di Mary Mallon. Riconosciuta, stavolta la vanno a prendere in grande stile, impiegando numerose forze di polizia. Mary inaspettatamente non oppone resistenza e si lascia guidare in carcere dove muore nel 1932, dopo 15 anni di prigionia a North Brother Island, che oggi è un parco faunistico molto carino ma che all’epoca era una sorta di lazzaretto/prigione.

Un untore volontario?

È molto interessante in questa storia il rapporto tra Mary e la malattia da lei stessa propagata: era molto probabile che la donna, di scarsissima istruzione e assolutamente reticente e sospettosa nei confronti delle autorità, credesse di essere perseguitata, forse ingiustamente, da tutta la comunità. Probabilmente per lei il concetto di portatore sano era assai difficle da comprendere, e doveva sembrarle soltando una scusa per qualcuno che voleva mandarla in galera. Così si spiega il suo comportamento quasi animalesco di fronte all’arresto: la fuga e la violenza quando viene messa con le spalle al muro.

C’è chi pensa che la Mallon propagasse volontariamente la malattia, in una sorta di psicotica vendetta verso le classi sociali abbienti con i cui vizi e capricci ebbe a che fare tutta la vita. Una ipotesi questa forse un po’ fantasiosa.

La verità potrebbe stare nel mezzo: se in un primo momento la Mallon non aveva granché idea di cosa le succedesse attorno, è possibile che in seguito al primo arresto la sua “voglia di vendetta” abbia generato in lei un sentimento di rivalsa. A quel punto avrebbe cominciato a diffondere la malattia in modo volontario. Ma sono solo ipotesi, e anche se la donna fosse viva non credo sarebbe una buona idea andarglielo a chiedere!


Fonti e bibliografia:

Oltre alla pagina Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Mary_Mallon), del caso di Mary Mallon si è occupato nel 2011 Anthony Bourdain, che in Italia è conosciuto per aver avuto una relazione con Asia Argento ma che in realtà è stato un grande chef e probabilmente il miglior divulgatore culinario di sempre, prima di morire suicida nel giugno del 2018.

Anthony Bourdain, Il segreto di Mary la cuoca, Roma, Donzelli Editore, 2011.

Trent'anni e innumerevoli passioni, tutte noiose. Scrivo di libri, di attualità, e di libri che parlano di attualità, ma solo con penne stilografiche.

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