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Titanic: cosa accadde davvero – Il viaggio inaugurale e le meraviglie della nave “inaffondabile”

L’avevano ribattezzata «L’Inaffondabile». Era la creatura più grande che avesse solcato i mari fino ad allora. Ma il suo viaggio inaugurale non giunse mai a conclusione e il Titanic non rientrò a Southampton, da dove era partito. Inabissò nel cuore dell’oceano la notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, portando con sé più di 1500 persone.

Per quanto i film ispirati a fatti realmente accaduti siano il più delle volte fantasiose ricostruzioni degli stessi, quello di Titanic rappresenta un caso molto particolare: il colossal scritto e diretto da James Cameron e uscito nelle sale nel 1997 è infatti incentrato su una storia d’amore inventata, quella tra Jack Dowson e Rose DeWitt Bukater, che non corrispondono a personaggi vissuti davvero, ma il luogo, il tempo, i fatti che fanno da cornice alla loro vicenda, i personaggi mostrati e la sequenza degli avvenimenti che portarono allo scontro prima e all’affondamento poi, sono tutti ricostruiti con grande accuratezza storica. E così lo sono gli ambienti, interni ed esterni, compresi quelli che, per ragioni di tempo, sono stati tagliati per l’uscita al cinema, ma che sono ancora visibili nella versione integrale del film, che se non conoscete vi consiglio calorosamente di guardare.

Devo riconoscere che prima di approfondire la questione per la scrittura di questo video, ero convinta che Cameron si fosse preso molte libertà: ad esempio mi chiedevo se fosse vera la linea di trama di Joseph Bruce Isamy, l’arrogante e meschino imprenditore che, pur di finire in prima pagina, è disposto a spingere al massimo i motori della nave, incurante del pericolo e delle conseguenze: mi sembrava che tutto fosse costruito fin troppo ad hoc. Eppure anche questa, scopriremo, è una storia vera.

La nave «inaffondabile»: il progetto del Titanic.

Lungo quasi 270 metri e alto più o meno come un palazzo di quindici piani, l’RMS Titanic era il transatlantico più grande e lussuoso costruito fino a quel momento. La nave apparteneva alla britannica White Star Line, che l’aveva progettata in seguito al successo del transatlantico gemello RMS Olympic, varato solo l’anno prima, nel settembre del 1911.

L’idea era quella di offrire un collegamento di linea settimanale tra Inghilterra e America, che servisse non soltanto i passeggeri e i migranti che a centinaia si spostavano da un lato all’altro dell’Atlantico, ma che fungesse anche da trasporto postale. La sigla RMS che precede infatti i nomi delle due navi stava per Royal Mail Ship, ovvero «nave di posta reale».

I due transatlantici, molto simili per dimensioni e forma, erano stati disegnati dallo stesso architetto: il trentanovenne Thomas Andrews, che lavorava presso la Harland & Wolff Company, una società di costruzioni navali con sede a Belfast, in Irlanda del Nord. Entrambi erano dotati di tecnologie d’avanguardia e presentavano ambienti di prima classe lussuosi e confortevoli, capaci di competere con le sfarzosissime, immense e super veloci navi della Cunard Line, la compagnia rivale, che era proprietaria tra gli altri del Mauretania e del Lusitania; quest’ultimo sarebbe stato affondato tre anni dopo, durante la Prima Guerra mondiale, dal sommergibile tedesco U-20.

Diversamente da tutti gli altri però il Titanic aveva una caratteristica unica nel suo genere: dei compartimenti a tenuta stagna, che gli avrebbero permesso di galleggiare anche in caso di collisione. Il corpo della nave era infatti dotato di un doppio fondo e diviso in sedici compartimenti formati a loro volta da quindici paratie trasversali che potevano essere chiuse. Questo significava che in caso di allagamento, l’acqua sarebbe stata bloccata dentro le singole parti, evitando che salisse a riempire tutta la nave.

La peggiore delle ipotesi che si potesse immaginare era infatti che una falla si aprisse tra due compartimenti, ragion per cui il Titanic era stato costruito per restare a galla anche due «piani», o addirittura con quattro, allagati. Questo è il motivo per cui, ancora prima del suo varo, i giornali lo soprannominarono «L’Inaffondabile» e per cui probabilmente si decise di istallare un numero di scialuppe insufficiente a contenere tutti.

Il Titanic aveva solo sedici scialuppe, a cui si aggiungevano quattro zattere smontabili. Poteva per questo «salvare» meno della metà dei passeggeri a pieno carico. Durante il suo viaggio inaugurale, e l’unico che svolse, a bordo c’erano circa 2200 persone, ma la nave avrebbe potuto ospitarne fino a 3547.

Forse può sembrarci strano, ma anche così il Titanic era perfettamente in regola: per navi superiori a 10.000 tonnellate di stazza erano richieste infatti solo 16 scialuppe. Il regolamento però era piuttosto vecchio e risaliva a quando, appena vent’anni prima, il transatlantico più grande misurava “solo” 13.000 tonnellate, mentre il Titanic ne faceva oltre 46.300.

È vero, come si vede nel film, che durante la progettazione ci fu chi suggerì di aumentare il numero delle scialuppe, ma la proposta fu bocciata: si pensava infatti che, se anche la nave avesse subito danni, sarebbe rimasta a galleggiare durante i soccorsi e questo avrebbe reso 20 scialuppe più che sufficienti a spostare tutti.

Molte cose però nella realtà presero una piega assai diversa.

La partenza del Titanic.

L’accordo per la costruzione del Titanic risaliva al 1907 ed era stato firmato da Joseph Bruce Ismay, presidente della White Star Line e di fatto proprietario della nave. Il cantiere era rimasto aperto per quattro anni, dal 1909 al 1912, e aveva richiesto il lavoro di oltre 15.000 uomini.

Molto si è detto sugli incidenti e sulle morti degli operai che lavorarono all’impresa, almeno dopo che il Titanic naufragò: furono almeno 240 i feriti registrati e sei le persone che persero la vita. Ma per quanto terribili, questi numeri erano piuttosto normali per l’epoca.

All’inizio di aprile del 1912, il Titanic, ormai ultimato, fu spostato da Belfast, dov’era stato costruito, a Southampton, da dove sarebbe partito per il suo viaggio inaugurale la mattina del 10 aprile. Il comando era stato affidato al capitano Edward John Smith, che da anni era il comandante della flotta della compagnia. Smith aveva sessantadue anni e si vociferava che quello sarebbe stato il suo ultimo incarico. Disponeva dunque di una lunga esperienza, oltre che di una grande fiducia nella tecnica navale. Pochi anni prima Smith aveva infatti affermato: «Non riesco nemmeno ad immaginare una condizione in cui queste navi potrebbero affondare […] la tecnica di costruzione […] oggigiorno ci permette di abbandonare simili preoccupazioni».

April 1912, Purser Hugh Walter McElroy and Captain Edward J. Smith aboard the during the run from Southampton to Queenstown, England. The man who took the photograph, Rev. F.M. Browne, got off at Queenstown, three days before the ship hit an iceberg and sank. — Image by © Ralph White/CORBIS

La mattina del 10 aprile le persone a bordo erano 2206, compresi gli oltre ottocento membri dell’equipaggio. Tra loro c’erano nomi di spicco della società inglese: il milionario John Jacob Astor, ad esempio, o l’industriale Benjamin Guggenheim, o i coniugi Straus, proprietari del centro commerciale Macy’s di New York, e con loro giornalisti, scrittori, produttori, attori. C’erano naturalmente numerosi esponenti della nobiltà inglese e, com’era tradizione per i viaggi inaugurali della White Star, anche l’architetto della nave, Thomas Andrews, e il proprietario, Joseph Bruce Ismay, che alloggiava assieme alla famiglia nella suite più lussuosa di cui la nave disponesse.

Come tutti i principali transatlantici di inizio secolo poi, il Titanic era diviso in tre classi, che rispecchiavano la divisione sociale dell’Inghilterra edoardiana: agli oltre trecento ricchi passeggeri di prima, si aggiungevano dunque quasi trecento passeggeri di seconda e oltre settecento di terza, saliti a bordo per le ragioni più varie.

Molti membri della terza classe erano migranti di nazionalità disparate, mentre in seconda viaggiava il ceto medio della società. Fatalmente tra loro c’erano anche persone che furono dirottate all’ultimo da altre navi: uno sciopero nazionale delle forniture di carbone aveva infatti soppresso parecchie partenze e fatto temere per lo stesso Titanic, per il quale però la White Star era riuscita a siglare un accordo.

È probabile che a molte di queste persone sarà sembrato un privilegio poter attraversare l’Atlantico sul Titanic. Sembra peraltro che la nave fosse di gran lunga più confortevole di altre, soprattutto per quel che riguarda la terza classe: qui infatti i passeggeri potevano alloggiare in cabine a due o a sei posti, dove più di frequente c’erano solo dormitori comuni; in più le stanze erano comode, areate, illuminate, riscaldate e provviste di lavandini. Anche la terza classe aveva una sua sala da pranzo, una stanza fumatori, due bar e un ponte di passeggiata coperta, e il vitto per quanto semplice era buono e abbondante.

L’incidente nel porto di Southampton e le foto del Titanic.

Il Titanic lasciò il porto di Southampton a mezzogiorno, diretta a New York. L’arrivo era previsto per la mattina del 17 aprile, sette giorni dopo. Tuttavia all’imboccatura del porto, il Titanic andò quasi a sbattere contro un’imbarcazione più piccola, che casualmente si chiamava proprio New York. Lo spostamento di una grande massa d’acqua, causato dal transatlantico, nello spazio ristretto del canale, causò la rottura degli ormeggi del New York, che indietreggiò verso il Titanic e gli scivolò davanti, mancandolo per solo per qualche decina di centimetri.

Questo rallentò di un’ora la partenza, ma ancora una volta, com’era accaduto per lo sciopero del carbone, non la fermò: attraversata la Manica, il Titanic scese verso sud e in serata raggiunse Cherbourg, in Francia, dove imbarcò alcuni passeggeri, per poi risalire verso l’Irlanda e fare scalo da Queenstown, oggi Cobh, da dove prese il largo il mattino dopo.

L’ultima foto del Titanic venne scatta a Fastnet Rock, lungo la costa irlandese.

Come potete immaginare, non sono molti gli scatti realizzati a bordo dopo la partenza. Sul Titanic però viaggiava un uomo di nome Francis Browne, un gesuita irlandese. Browne aveva ricevuto in regalo un biglietto da Southampton a Queenstown e aveva con sé una macchina fotografica. Riuscì ad immortalare la palestra, la stanza dei marconisti, il salone della prima classe, la sua stessa cabina e alcuni passeggeri sulla Promenade; nei suoi scatti, che sono gli ultimi che si conoscano all’interno del Titanic, si vedono tra gli altri il capitano Smith, lo scrittore Jacques Futrelle e numerosi individui della terza classe, i cui nomi resteranno per sempre sconosciuti.

Per ironia della sorte, Browne fu sul punto di restare a bordo: una coppia di milionari americani si offrì di pagargli il viaggio, ma il suo superiore mandò in risposta un telegramma che diceva chiaramente: «SCENDI DA QUELLA NAVE».

Browne scese. Giorni dopo, quando il Titanic inabissò, le sue foto fecero il giro del mondo.

La nave delle meraviglie: gli interni del Titanic.

Uno degli aspetti più interessanti del film di Cameron sta nella ricostruzione degli ambienti, che sono assai vicini, se non identici, a quelli che si trovavano davvero sul Titanic.

Nella realtà, per gli interni gli architetti della Harland & Wolff si erano ispirati agli hotel di alta classe della Belle Époque, come il Ritz Hotel di Londra. Più che una nave, il Titanic doveva assomigliare ad un grande edificio di lusso, con decorazioni in stili dispariti: Regency, Luigi XV e XVI, Rinascimento italiano. Le cabine della prima classe erano eleganti e raffinatissime.

C’erano per i passeggeri più facoltosi suites private e sfarzose, tra queste due presidential suite e due royal suite, decorate in stile Luigi XVI, che comprendevano salotto, tre camere da letto, due bagni, due guardaroba, una cabina per la servitù e un ponte di passeggiata privato. Le suites erano riscaldate e al posto degli oblò avevano delle ampie porte finestre. Il loro costo però era esorbitante: 890 sterline per la sola andata, l’equivalente di sedici anni di paga di un manovale.

Nel cuore della nave si trovava un grande scalone di legno a doppia rampa che fungeva da collegamento per tutti i ponti riservati alla prima classe: dal ponte E, situato più in basso, fino al ponte di coperta. A ridosso del ponte A la rampa si apriva su un’ampia ed elegante sala comune, sormontata da una cupola di vetro e ferro battuto, e pensata per leggere, bere il tè o passare il tempo, oltre che per ascoltare la musica dell’orchestra. 

Questo è l’ambiente che si vede più volte in Titanic di James Cameron: anche nella realtà il corrimano di legno e ferro battuto terminava con un cherubino di bronzo reggi-fiaccola e sul pianerottolo superiore si trovava un orologio di bronzo con due figure femminili che rappresentavano l’«L’onore e la Gloria che incoronano il Tempo».

Il cherubino fu l’unica di queste decorazioni a tornare in superficie dopo l’affondamento: lo si recuperò sul finire degli anni Ottanta.

Non esistono invece foto dello scalone originale del Titanic. Gli scatti in circolazione appartengono in realtà all’Olympic, il transatlantico gemello, e furono commissionati dalla White Star Line per le brochure pubblicitarie. Tuttavia la compagnia non ritenne utile far fotografare le parti del Titanic che erano identiche all’Olympic e di cui si disponevano già le foto, e così nessuno le immortalò mai.

Tra gli ambienti di svago della prima classe, il Titanic presentava anche una sala di lettura destinata alle signore, una stanza fumatori per gli uomini, che era frequentata soprattutto di sera, un campo da squash, una piscina coperta, un bagno turco e una palestra all’avanguardia, con attrezzature sportive di ultima invenzione, come il cavallo e il cammello meccanici, che simulavano il movimento degli animali. La palestra era gestita da un maestro ed era accessibile a momenti alterni sia agli uomini sia alle donne della prima classe.

Per quanto nel film non compaiano la piscina e i bagni turchi, la palestra è visibile più volte soprattutto nelle scene tagliate.

Non furono invece stati inclusi nella pellicola, né nella versione finale né in quella integrale, i punti di ristoro che si trovavano sul ponte B: il Café Parisien, che affacciava sull’oceano, e l’adiacente ristorante À la Carte, che era gestito da un italiano, Luigi Gatti. Il ristorante serviva un menu fisso fino alle undici di sera e, per quanto fosse riservato alla prima classe, permetteva accesso anche ai passeggeri di seconda con un sovrapprezzo in contanti.

La “Marconi” Room.

Un ulteriore ambiente che ha trovato relativo spazio nel film di Cameron, se non altro perché fu tagliato nella versione definitiva, è la sala del telegrafo, posizionata dietro la plancia di comando del Titanic. Per quanto lontano dalla magnificenza e dal lusso del resto della nave, questo spazio, che era dotato di un telegrafo senza fili, era piuttosto all’avanguardia: la telegrafia senza fili, brevettata da Marconi appena un decennio prima, permetteva infatti ai transatlantici di restare in contatto con la terraferma, laddove prima intraprendere un lungo viaggio significava essere letteralmente tagliati fuori dal mondo.

Il telegrafo aveva soprattutto due funzioni: permetteva uno scambio di messaggi tra nave e terra – il che voleva dire non soltanto saluti e auguri, ma anche di notizie e fatti di cronaca; – e soprattutto dava la possibilità di comunicare con altre imbarcazioni o con le stazioni costiere in caso di pericolo.

La sala dei marconisti, e cioè degli addetti al telegrafo, non ha avuto, almeno nel nostro immaginario, grande risonanza, ma se non ci fosse stata nessuno dei 2206 passeggeri si sarebbe salvato: la nave sarebbe finita in fondo all’oceano e nessuno ne avrebbe mai saputo nulla; sarebbe semplicemente scomparsa senza lasciare tracce.

Sul Titanic i marconisti erano due Jack Phillips e Harold Bride, entrambi poco più che ventenni. Solo Bride sarebbe sopravvissuto all’affondamento. Gran parte del loro lavoro consisteva nello smistare la posta da e per i passeggeri e il telegrafo veniva tenuto d’occhio ogni momento. Stupisce dunque che, nonostante le numerose segnalazioni di iceberg che arrivarono in quei tre giorni di viaggio, nessuno prese seriamente in considerazione la possibilità che la nave potesse andare a sbattere.

La fiducia nella sua tenuta, il clima di invincibilità che accompagnava il viaggio, la credenza folle che la nave fosse davvero «inaffondabile» contribuirono a far passare il problema in secondo piano.

Ismay, il presidente della White Star che viaggiava sul transatlantico, fece poi effettivamente pressione sul capitano Smith perché spingesse al massimo i motori. Il Titanic tagliò così l’Atlantico accelerando costantemente: tra l’11 e il 12 aprile coprì quasi 900 km, per farne oltre 960 nelle ventiquattr’ore successive e più di mille nel suo ultimo giorno di viaggio. La notte in cui entrò in collisione con l’iceberg viaggiava con una media di 21 nodi, circa 40 km/h.

Il primo marconigramma con segnalazioni di iceberg a largo di Terranova giunse la sera dell’11 aprile. Ne seguirono altri tra il 12 e il 13, ma per una ragione o per l’altra non furono recapitati né presi in seria considerazione dal capitano Smith.

Anche se era per tutti la nave «inaffondabile», il Titanic stava vivendo le sue ultime ore. La storia continua con la seconda parte dell’articolo: Titanic cosa accadde davvero – La notte del naufragio.


Fonti:

M. Polidoro, Titanic. Un viaggio che non dimenticherete.

https://it.wikipedia.org/wiki/RMS_Titanic

https://it.wikipedia.org/wiki/Titanic_(film_1997)

https://it.wikipedia.org/wiki/RMS_Olympic

https://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Andrews_(ingegnere)#RMS_Titanic

https://it.wikipedia.org/wiki/Joseph_Bruce_Ismay#La_classe_Olympic_e_l’affondamento_del_Titanic

https://it.wikipedia.org/wiki/Edward_Smith#Sul_Titanic

https://it.wikipedia.org/wiki/Harland_and_Wolff

https://it.wikipedia.org/wiki/RMS_Lusitania

https://it.wikipedia.org/wiki/Passeggeri_del_RMS_Titanic

https://it.wikipedia.org/wiki/Macy%27s

https://en.wikipedia.org/wiki/Francis_Browne

https://it.wikipedia.org/wiki/Telegrafo

https://it.wikipedia.org/wiki/Jack_Phillips

https://it.wikipedia.org/wiki/Harold_Bride

Ventinove anni e un nome insolito. Ho cominciato a scrivere storie poco più tardi di quando ho cominciato ad ascoltarle, prima da mia madre, poi da mia nonna, poi da chiunque ne avesse una da raccontare.

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