Attualità

L’umanità di gregge: quando la produttività diventa più importante

Non ho letto l’originale inglese della frase di Boris Johnson, in cui il Primo Ministro inglese si augurava il «raggiungimento dell’immunità di gregge attraverso l’infezione del 60% degli abitanti del Regno Unito» e supponeva che la popolazione avrebbe dovuto «abituarsi a perdere i propri cari», quindi mi riservo il dubbio di immaginare (sperare?) che si tratti di una traduzione sciatta e acchiappaclick.

Quella frase però terribile, presuntuosa e vanitosamente provocatoria, ci permette di andare più a fondo su un tema di cui sarebbe il caso iniziare a parlare: quello del rapporto tra civiltà, cultura e produttività. I tanti giovani fuggiti dai loro borghi del Sud Italia, per ritrovarsi in appartamenti umidi e costosissimi, a comprare acqua in bottiglia e a lavorare come schiavi, è plausibile che abbiano immaginato, una volta sbarcati, di trovare un Eldorado fatto di connessione internet iperveloce, corsi di Yoga al parco ed eleganti e raffinati wine-bar, così diversi dal volgare locale di paese, con una sola marca di birra (e pure cattiva).

Proprio questi stessi giovani devono essere rimasti molto delusi dall’affermazione del loro presidente, perché la maggior parte di loro è culturalmente attivissima e formata, e sa riconoscere una mancanza di umanità e di umanesimo (in lui, laureato in lettere classiche) spaventosa e inaccettabile.

Questo cortocircuito si spiega col fatto che la produttività, la flessibilità lavorativa e un ordinato e beneducatissimo caos, fatto di metropolitane sempre in orario e ristoranti costosi, non sono sufficienti a rendere una civiltà superiore ad un’altra. Se una cultura non ha imposto, all’interno del proprio ordine immaginario, la tutela delle vite umane al di sopra di ogni altra cosa, inclusi profitti e produttività, non le serve a nulla fingersi accogliente, cosmopolita, trendy. Ovviamente non è il caso dell’Inghilterra tutta, ma potrebbe essere il caso del suo Primo Ministro, e non è cosa da poco.

In un paese dove alcuni dei musei più belli del mondo sono gratuiti, e dove quindi è lecito presumere che la cultura, intesa come servizio pubblico di elevazione del cittadino, sia tenuta in gran conto, che una gaffe del genere possa essere accettata è un segnale molto grave di uno scivolamento verso una società che con l’umanesimo mediterraneo avrà pochissimo da spartire.

Possiamo dire ciò che vogliamo sulle numerosissime e insopportabili storture del nostro sistema economico, culturale e sociale, ma una frase del genere, qui in Italia, verrebbe accompagnata dal massimo dell’esecrazione pubblica e delle immediate dimissioni.

E sarebbe giusto, perfettamente normale.


Per approfondire: Yuval Noah Harari, Sapiens. Da Animali a Dei, Bompiani, 2014.

Trent'anni e innumerevoli passioni, tutte noiose. Scrivo di libri, di attualità, e di libri che parlano di attualità, ma solo con penne stilografiche.

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