Attualità

Due consigli di lettura post-psicosi

Se la psicosi da coronavirus vi ha rinchiusi in casa e vi siete legittimamente stufati di scorrere la home dei vari social network che non fanno altro che ricordarvi che lì fuori c’è il coronavirus, ecco due libri che vi ricorderanno che lì fuori c’è il coronavirus, ma con l’autorevolezza dei veri scrittori. Vuoi mettere.

Il Libro Scientifico con cui farvi gli splendidi al bar.

Spillover di David Quammen: libro recentissimo e recentemente ristampato (e già esaurito) da Adelphi, ci aiuta a capire, spiegando con molta perizia e altrettanta pazienza per noi comuni mortali, che discettiamo di infettivologia e virologia al bar ma non avremmo mai passato il test di medicina, come nascono le epidemie moderne.

Quammen è un giornalista e scienziato molto apprezzato in America e sconosciuto fino a qualche tempo fa da noi, lavora per National Geographic e per più di vent’anni (le prime “indagini” di questo libro risalgono alla prima metà degli anni Novanta) è andato letteralmente in ogni angolo del mondo a caccia delle più terribili malattie che possiate immaginare.

La parola che dà il nome al libro indica “il passaggio di un patogeno da una specie ospite all’altra”, che è una cosa che posso capire persino io, quindi chiunque. Lo stile del libro (che è anche il segreto del suo successo probabilmente) è molto accattivante e dalla struttura simile a un racconto del terrore scritto per conto terzi (la copertina nera con un vampiresco pipistrello non rasserena, no).

Avete presente quando Stephen King racconta ciò che succede di orribile a qualche personaggio secondario e appena comparso? Quei deliziosissimi abbozzi di quotidianità e banalità che precipitano improvvisamente nell’orrore?

Ecco, alcune pagine di Quammen ricordano molto certe situazioni. Esempio lampante il Virus Hendra, descritto nelle primissime pagine del libro: assomiglia in maniera incredibile all’inizio di IT, con la barchetta che si perde nelle fogne e il povero bimbo con l’impermeabile giallo risucchiato nelle tenebre da un perfido clown. Qui una povera cavalla gravida inizia a comportarsi in modo molto strano, ma nessuno ci dà granché peso, finché…

Il Libro Esistenzialista con cui farvi gli splendidi a tavola.

La Peste di Albert Camus viene pubblicato nel 1947, due anni dopo la fine della guerra e, anche se non sembra averci niente a che fare, va pur detto che il nazismo fu definito in Francia “la Peste Bruna”.

In un tranquillo villaggio coloniale, in Algeria, un’improvvisa moria di topi porta ad un’improvvisa moria di persone, con tutte le conseguenze che ne derivano. Se Manzoni aveva tinteggiato col pennello dello storico il clima umano e sociale durante la Peste di Milano del 1630, Camus sembra adoperare una tavolozza più da filosofo. L’atmosfera racchiusa e incupita della città prima vivissima e mercantile (ovvero frenetica e ricca di contatto umano) poi sospettosa ed escludente conduce l’autore, che parla in prima persona attraverso gli occhi di un medico, il protagonista, a delle conclusioni molto novecentesche: la Peste diviene una grossa e ingombrante raffigurazione di un Male improvviso, irrazionale e devastante, che colpisce assolutamente alla cieca.

Questo Male ovviamente mette a durissima prova tutte le convenzioni e le convinzioni sociali: il suo improvviso manifestarsi scatena reazioni contrastanti che mettono a nudo il cuore degli uomini, un Male che dal di fuori (la malattia) si proietta nel di dentro delle persone. L’orizzonte del Bene dunque è proprio nel ritorno a una dimensione umanistica dell’esistenza, cioè al contatto tra gli individui e nel ritorno a una socialità che per quanto imperfetta è meglio di nessuna socialità.

Trent'anni e innumerevoli passioni, tutte noiose. Scrivo di libri, di attualità, e di libri che parlano di attualità, ma solo con penne stilografiche.

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