La mandragola di Harry Potter: leggenda, magia e poteri della radice maledetta
La leggenda racconta che ai piedi di una forca, là dove era stato impiccato un uomo, a primavera sarebbe nata una pianta dai poteri straordinari. Le sue radici dalle forme mostruose avevano gambe e braccia come piccoli uomini. Si diceva che piangessero se estratte dal terreno e quelle grida avrebbero ucciso qualunque incauto raccoglitore. Si chiamava mandragola, ed era una pianta maledetta. La dimora di spiriti maligni e forze demoniache.
Tra le leggende inquietanti riguardanti piante e fiori dai presunti poteri magici, un ruolo importante spetta alla mandragora, o mandragola, conosciuta da tempo immemore in tutto il bacino del Mediterraneo. La sua radice era considerata magica e si credeva possedesse un gran numero di qualità medicinali, afrodisiache e allucinogene.
Molto probabilmente la sua particolare forma, che in primavera appariva spiccatamente antropomorfa, contribuì a circondare la pianta di un alone di mistero sinistro e la fece associare ben presto con la magia. Nel medioevo si credeva che una volta estratta dal terreno, la radice emettesse urla così potenti da indurre alla pazzia o addirittura alla morte chiunque tentasse incautamente di strapparla dal suolo.
Per raccoglierla bisognava seguire riti particolari, pronunciare incantesimi e sperimentare stratagemmi curiosi per sopravvivere al diavolo, che, annidato nella magica radice, avrebbe preteso l’anima di ogni raccoglitore in cambio dei poteri straordinari della pianta.
Quali erano questi poteri “straordinari”? E perché gli uomini e le donne del passato si davano tanto da fare per raccogliere questa radice così pericolosa?
Le supposte proprietà della mandragora.
Già molto prima del medioevo, alla mandragola si riconosceva il potere di aumentare la fecondità delle donne. Si credeva, e lo si sarebbe creduto per secoli, che la sua radice curasse la sterilità e l’impotenza, a lungo considerate sinonimi. Più le sue radici rassomigliavano ad esseri umani, più il loro potere era grande.
Il primo libro a citarla è la Bibbia, dove nella Genesi (30, 14-22) si parla dell’uso della pianta proprio a questo proposito: le mandragore sembrano qui sono associate alla nascita del figlio di Rachele e Giacobbe.
14 Al tempo della mietitura del grano, Ruben uscì e trovò mandragore, che portò alla madre Lia. Rachele disse a Lia: «Dammi un po’ delle mandragore di tuo figlio». 15 Ma Lia rispose: «È forse poco che tu mi abbia portato via il marito perché voglia portar via anche le mandragore di mio figlio?». Riprese Rachele: «Ebbene, si corichi pure con te questa notte, in cambio delle mandragore di tuo figlio». 16 Alla sera, quando Giacobbe arrivò dalla campagna, Lia gli uscì incontro e gli disse: «Da me devi venire, perché io ho pagato il diritto di averti con le mandragore di mio figlio». Così egli si coricò con lei quella notte. 17 Il Signore esaudì Lia, la quale concepì e partorì a Giacobbe un quinto figlio. […]
Genesi, 30 14-22.
22 Poi Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda.
Nell’antica Grecia, la mandragora era nota come «mela dell’amore» e per questo connessa con la dea Afrodite. Da «strumento» di fecondità, le sue radici divennero presto ingredienti di potenti filtri d’amore. Afrodite era considerata la “dea delle mandragore” e pare che di questa pianta si fosse servita anche la maga Circe per incantare Ulisse, il quale riuscì a salvarsi solo grazie ad un antidoto a base di bucaneve.
Ippocrate riconosceva alla mandragora proprietà narcotiche e suggeriva di scioglierla nel vino per alleviare l’ansia e la depressione. Aristotele la descrive come un potente soporifero e Teofrasto la cita come rimedio contro la gotta e l’insonnia.
Nell’Antica Roma, circolavano varie leggende sull’uso della mandragora. Si diceva che Annibale se ne fosse servito per vincere i ribelli africani, lasciando loro vasi di vino misto a mandragora per indurli alla sonnolenza. Un’altra credenza affermava che lo stesso Cesare fosse riuscito a liberarsi da una cattura usando uno stratagemma simile.
L’idea che sua radice assomigliasse alla figura umana era già diffusa nel mondo antico. Teofrasto, vissuto tra il IV e il III secolo a. C., fu uno dei primi medici a parlarne e Dioscoride Pedanio, destinato a diventare famosissimo nel medioevo, sposò questa teoria, arrivando ad affermare che le radici presentassero distintamente forme maschili o femminili, senza però riuscire a spiegarne il perché. Nel suo libro De materia medica, Dioscoride la rappresenta come un omino, sulla cui testa il fusto e le foglie formano un particolare copricapo.
Era credenza comune che la mandragora fosse sede di spiriti maligni, ragion per cui, secondo Pseudo-Apuleio, le sue foglie scintillavano come una lampada alla luce della luna. Il mondo arabo la credeva dimora dei djinn, spiriti invisibili buoni e cattivi, e la tradizione medievale la riempì di significati demoniaci. Si cominciò a credere che la pianta fosse sacra al diavolo e pregna della sua presenza. Per tutto questo, già dall’antichità, alla sua raccolta si associavano rituali molto particolari.
Come raccogliere la mandragora senza morire.
Secondo Teofrasto prima di estrarre una mandragora era necessario disegnare tre cerchi attorno alla pianta, servendosi di una spada magica, realizzata con ferro vergine ed utilizzata unicamente per svolgere questa operazione. Voltandosi verso ovest, per evitare gli influssi maligni, si cominciava col tagliare via parti della radice e, portato via il secondo pezzo, ci si fermava per danzare attorno alla pianta e proferire incantesimi d’amore. Rituali simili accompagnavano la raccolta di altre piante magiche, come la belladonna.
Un altro metodo singolare, proposto da Dioscoride, consisteva nello sradicare la radice servendosi di un cane, possibilmente di colore nero. Era necessario che la bestiola digiunasse per giorni e in preda alla fame venisse legata con una corda alla mandragora. Solo a quel punto, il raccoglitore le gettava ben distanti alcuni pezzi di carne, che avrebbero indotto il cane a tendere la corda fino ad estirpare la radice. Le grida della mandragora avrebbero in questo modo colpito il cane, uccidendolo tra atrici tormenti, ma l’uomo si sarebbe salvato e con i giusti incantesimi avrebbe riportato alla terra li spiriti malvagi. Una volta tolta dal terreno la mandragora diventata infatti innocua.
Questo metodo divenne molto famoso nel medioevo. Dal momento che si riteneva che i cani non avessero un’anima, dovette sembrare una soluzione perfetta: la loro morte avrebbe risparmiato gli uomini e ingannato il diavolo che regnava nella mandragora.
Ai raccoglitori si consigliava di coprire le orecchie con del bitume o della cera, e di affliggere un crocifisso sulla pianta per spaventare il demonio. Anche il giorno, l’ora e la stagione divennero importanti: si preferiva il venerdì, che era il giorno sacro a Venere; quanto all’ora era bene agire nelle notti di luna piena o all’alba, quando si credeva che il diavolo dormisse. Il periodo migliore era quello a cavallo del solstizio d’estate, quando si raccoglieva anche l’iperico. Ed era infine importante pregare l’Ave maria e il Pater noster per proteggersi dalle forze del male.
Per purificarla ed attivare i poteri della radice, Ildegarda da Bingen (XII secolo), monaca e guaritrice medievale, raccomandava lasciarla un giorno ed una notte in acqua sorgiva, ed altre fonti suggerivano di avvolgerla in panni di lino e conservarla con cura in una scatola di legno, oltre che di rivolgerle preghiere prima di qualsiasi possibile utilizzo.
I magici poteri della mandragora.
La mandragora a quel tempo era utile per un’infinità di mali: curava le infezioni, la gotta e la calvizie. Sminuzzata e stemperata nel vino aiutava a sopportare il dolore, le cauterizzazioni e le incisioni, e in un mondo in cui mancava l’anestesia tutto questo era tenuto in gran conto, sia in Occidente, sia in Oriente. Circolavano ricette anestetiche molto efficaci, come quella di Arnaldo da Villanova (XIII secolo) che proponeva di imbevere un panno di un miscuglio acquoso di oppio, mandragora e giusquiamo in parti uguali e posarlo sulla fronte e sul naso dei pazienti prima di procedere con le operazioni chirurgiche.
Con le radici di mandragora si ricavano filtri d’amore e solo con la stessa potevano essere sciolti. Ildegarda suggerisce un metodo utile per riportare alla normalità gli istinti sessuali dell’uomo alimentati da un incantesimo: bisognava legare tra il petto e l’ombelico una mandragora femmina adulta, poi spaccare la radice, lasciarne una metà sul proprio corpo e sbriciolare la parte rimasta, ingerendola assieme a della canfora.
La fama di questa pianta non tramontò con il medioevo e semmai si fece più inquietante, nel momento in cui si cominciò ad associarla con le streghe con l’esoterismo. Nacque nel Seicento il mito, diffuso soprattutto in Germania e in Austria, secondo cui la mandragora nascerebbe ai piedi delle forche, alimentata dai liquidi seminali e dall’urina degli impiccati. Qui la radice di mandragora era chiamava «omino della forca» e si cominciò a considerarla come dotata di una vita e di un potere proprio. Se lavata ogni venerdì con vino rosso, avvolta di seta bianca e rossa e tenuta con cura, la radice di mandragora, secondo alcune leggende, avrebbe reso ricco e fertile chi lo possedeva.
Ancora nel Seicento, è citata in trattati sulla licantropia, dove si dice che unguenti di mandragora fossero in grado di trasformare gli uomini in esseri mostruosi, come appunto i lupi mannari, e ancora a lungo continuò a circolare l’idea che il suo utilizzo garantisse una prole numerosa e sana. Tra Cinque e Seicento, la mandragora è nominata da Shakespeare e Marlowe, e Niccolò Machiavelli le dedicò addirittura una commedia, La mandragola, la cui storia ruota attorno ad un filtro a base di radice di mandragora: il suo uso permetterà alle donne di restare incinte, ma il primo uomo ad avere rapporti con loro dopo l’assunzione, morirà.
Potente dunque, ma assai pericolosa, cosa c’era nella mandragora che ha attratto così tanto l’attenzione degli uomini e delle donne del passato? Vi è forse del vero in queste inquietanti leggende?
La verità sulla radice di mandragora.
Tassonomicamente parlando, la mandragora è una arbusto appartenente alla famiglia delle Solanacee e per questo “cugino” di piante più conosciute come il pomodoro, la patata e le melanzane. Come quest’ultime, la mandragora è tossica nel fusto, nei fiori e nelle foglie. Anche i suoi frutti, delle bacche giallo-arancioni che ricordano delle piccole melanzane, sono velenosi.
Probabilmente sua la tossicità è stata alla base della nascita del mito. L’alta percentuale di alcaloidi contenuta nella pianta provoca tachicardia e spasmi e spesso, nell’antichità, sintomi di questo genere erano confusi con la possessione demoniaca, ragion per cui la mandragora potrebbe essere stata associata con le forze del male e col demonio.
Sicuramente alcune delle proprietà descritte già in passato, come quelle analgesiche o soporifere, corrispondono al vero. Altre piante tossiche o velenose, come l’edera e la belladonna, erano usate per addormentare o “anestetizzare” e le stesse erano associate ai riti magici, alle streghe, o alle pozioni.
Infine, è probabile che la forma particolare delle sue radici abbia rafforzato l’idea che al suo interno dimorasse qualcosa, come nel corpo umano dimora l’anima. Da lì al fatto che la radice “urlasse”, poi, il passo fu breve e… tutto il resto venne da sé.
Fonti:
C. Tuczay, Esoterismo e magia nel medioevo.
A. Angela, Silvestro un medico tra i pellegrini di Assisi.
Bibbia, Genesi 30, 14-22.
Magie, arcani e simboli del medioevo (Rivista), gennaio-febbraio 2020.
https://www.britannica.com/plant/mandrake-Mandragora-genus
http://www.treccani.it/enciclopedia/mandragora/
https://www.rcpe.ac.uk/college/journal/solanaceae-ii-mandrake-mandragora-officinarum-league-devil