Età Moderna,  Novecento

Uomini che distruggono statue: 3 spaventosi casi di iconoclastia nella Storia

Gli eventi degli ultimi giorni, tra America ed Europa, con la distruzione delle statue nelle piazze hanno indotto tutti – probabilmente anche voi – ad una riflessione: quanto la necessità di diffondere un pensiero giusto, egualitario e doveroso può essere legittimata ad eliminare i segni di ciò che ci ha preceduti? Quanto della nostra storia va accettato e conservato, e quanto invece rigettato a causa del messaggio negativo e sbagliato che porta con sé?

Per parlarne ho pensato di tornare indietro di qualche tempo, a quando, in epoche diverse dalla nostra e per diverse rivendicazioni, altri uomini hanno attuato questo stesso tipo di protesta, abbattendo statue ed altri simboli di potere. 

Iconoclastia: una definizione.

Nato in ambito religioso, il termine “iconoclastia” definisce la lotta contro le immagini e i simboli che designano una certa cultura. L’iconoclastia ha caratterizzato i momenti di passaggio più importanti della storia dell’uomo, quando i gruppi dominanti sono stati abbattuti e sostituiti. Tutti gli elementi iconografici, come le statue, i dipinti, le architetture che li caratterizzavano, sentiti all’improvviso come resti di un passato che si voleva e doveva dimenticare, sono stati distrutti e il più delle volte rimpiazzati con simboli nuovi. 

La pratica dell’iconoclastia è antica quanto l’uomo. Era già diffusa e attuata regolarmente a Roma, dove si chiamava damnatio memoriae e consisteva non soltanto nell’abbattimento di monumenti e statue, ma nella cancellazione completa della memoria di una persona, come se questa non fosse mai esistita.

Nella storia moderna il caso più emblematico di iconoclastia è avvenuto in ambito religioso: quando i riformatori protestanti incoraggiarono la distruzione delle immagini religiose cattoliche. 

Il caso Beeldenstorm: la tempesta delle immagini.

Seguendo le proibizioni contenute nel Pentateuco e nei Dieci Comandamenti, i riformatori protestanti considerarono la venerazione dei simboli e delle icone sacre una forma di eresia pagana. Per questo, a partire dalla prima metà del XVI secolo, incentivarono la distruzione e l’eliminazione di statue, dipinti, pale e reliquie che rappresentavano Dio e i santi. 

Il movimento interessò soprattutto la Svizzera, la Scozia e la Francia, dove numerose chiese vennero saccheggiate, depredate o distrutte. Nel 1566 il furore iconoclasta raggiunse le Fiandre e portò alla devastazione di innumerevoli edifici sacri. Per mesi, da agosto ad ottobre, le folle inferocite si riversarono nelle chiese depredando ed abbattendo centinaia di opere d’arte, compresi altari, fonti battesimali, cori, pulpiti, organi e decorazioni di ogni tipo. Le sculture di moltissime cappelle furono danneggiate, percosse con martelli e picconi; si arrivò ad incendiare i paramenti sacri, i libri, i calici e a depredare ogni altro tipo di ricchezza, comprese le scorte alimentari.

I sommovimenti nelle Fiandre erano iniziati per ragioni religiose, ma anche latentemente politiche: la regione si trovava sotto il controllo del cattolico Filippo II di Spagna ed era amministrata dalla reggente Margherita d’Austria, anche lei cattolica e poco incline a regolare le questioni importanti con la partecipazione della nobiltà locale: un fatto che la rendeva particolarmente odiosa presso i nobili e i borghesi, che erano in maggioranza protestanti

Con l’aggravarsi delle tensioni sociali e il diffondersi del protestantesimo di stampo calvinista presso il popolo, divenne sempre più concreta la paura di un’imminente persecuzione. Il generale malcontento, la fame, lo scarso raccolto dell’anno prima, contribuirono ad aumentare le agitazioni e molto presto la situazione, appoggiata anche dai nobili e dai borghesi, divenne incandescente. In una lettera del 22 luglio, poco prima dell’inizio delle proteste, si annunciava già l’imminente rivolta del popolo, che sarebbe scoppiata il 10 agosto, diffondendosi rapidamente in tutta la regione.

Chiese, cattedrali, conventi, ma anche cappelle ed ospitali furono travolti dalle sommosse: statue, sculture, pitture vennero ovunque gravemente danneggiate; i luoghi sacri furono deturpati e dati alle fiamme. A partire dalla città di Steenvoorde, oggi in territorio francese, numerosissimi furono i centri interessati: in ogni città le proteste potevano durare giorni. Si arrivò a depredare le case dei sacerdoti e dei privati cittadini sospettati di proteggerli. A dispetto delle poche perdite in termini di vite umane, oltre 400 furono le chiese attaccate e razziate nel corso di queste proteste.

Uomini, donne, persino bambini vi parteciparono; dai processi che seguirono si stabilì che un po’ tutte le categorie di lavoratori vi avessero preso parte, compresi i piccoli imprenditori, gli impiegati del settore tessile e i lavoratori ecclesiastici, perlopiù persone di estrazione modesta o medio-bassa. Alle rivendicazioni di tipo religioso si aggiunsero ben presto quelle politiche e sociali, che trasformarono il saccheggio in una grande “festa dei folli”, dove la distruzione dell’ordine sociale, rappresentato dalla Chiesa e dai suoi simboli, funzionò da valvola di sfogo. Furono distrutte anche statue di re e regine, oltre che depredate ricchezze e bottini che non avevano nulla a che vedere con l’iconografia religiosa. 

La statua di re Giorgio III.

Nel 1776, subito dopo aver letto la Dichiarazione di Indipendenza, un gruppo di newyorchesi scese a Bowling Green, nei pressi di Manhattan, e buttò giù la statua di re Giorgio III, il “tiranno inglese” in terra americana. Era, stando alle testimonianze del tempo, un tentativo di gettarsi il passato alle spalle e di costruire su quelle macerie il mondo nuovo, la nuova America

La statua era stata inaugurata nell’aprile del 1770, ricevendo sin dal principio un certo astio da parte della popolazione locale, che la coprì di graffiti e scritte diffamatorie, tanto che nel 1773 le autorità furono costrette ad emanare una legge che vietava gli atti di vandalismo. Realizzata in piombo rivestito d’oro, la statua rappresentava il re a cavallo ed era opera di Joseph Wilton, un affermato artista londinese. In origine non doveva neanche rappresentare il sovrano, ma William Pitt, colonizzatore e benefattore, due aspetti che, almeno nell’idea del tempo sembravano abbastanza conciliabili. Non sembrò tuttavia rispettoso erigere una statua ad un servitore del re senza dedicarne una anche a quest’ultimo; così si pensò di realizzare non una ma due statue: quella di William Pitt trovò posto all’incrocio tra Wall Street e William Street, e quella di Giorgio III a Bowling Green.

La posa del sovrano, che oggi conosciamo grazie a dei dipinti successivi, era d’ispirazione classica: Wilton s’ispirò per l’occasione alla statua di Marco Aurelio che troneggiava a Roma in Campidoglio. Essendo infatti Marco Aurelio un imperatore filosofo, si cercò di tinteggiare il re con le sue stesse fattezze, ma questo non bastò a salvarlo quando, sei anni dopo l’istallazione, un gruppo di ribelli armati scardinò la statua dal piedistallo ed aiutandosi con delle funi l’abbatté al suolo. 

Non è ben chiaro chi furono gli artefici della distruzione. Già le fonti dell’epoca appaiono discordanti nel descrivere ora schiavi all’ordine dei militari americani, ora il popolo inferocito con le donne in prima fila, ora l’esercito stesso. Si parlò di un gruppo di almeno quaranta persone. Subito dopo l’evento la rimozione fu rivendicata anche dai Figli della Libertà, un’associazione segreta di quel tempo che è tutt’oggi oggetto di studio. 

 Gettata a terra in un impeto furioso e rabbioso, la statua di re Giorgio venne fusa e secondo le cronache se ne ricavarono oltre 42.000 proiettili. La testa, mutilata del naso e delle orecchie, fu infilzata su una picca ed esposta a Fort Washington, come se si trattasse del capo strappato ad un criminale. L’atto di abbattere, decapitare e fondere l’immagine del re assunse così un valore fortemente simbolico: rappresentò il regicidio a distanza di un re abbattuto dal popolo vessato

Di re Giorgio III a cavallo rimase solo il basamento. La testa, dopo una serie di rocambolesche avventure, riuscì infine a rientrare in Inghilterra; il piedistallo e la recinzione furono preservati alla memoria di quel che accadde in quei giorni. Non molto diversa fu la sorte della statua gemella, quella di William Pitt, la quale fu decapitata e privata delle braccia, per poi essere rimossa nel 1788. 

La caduta di Lenin in Ucraina.

Prima del crollo dell’Unione Sovietica, in Ucraina si contavano 5.500 statue di Lenin. La caduta del muro di Berlino e le proteste degli anni successivi ne lasciarono intatta una sola: quella che oggi si trova a Chernobyl, che per la gente del posto è come se non esistesse. Proprio il trovarsi lì infatti, in un luogo spettrale e inaccessibile, rimasto congelato nel tempo, rende la sua permanenza molto simbolica. Con l’esplosione della centrale di Chernobyl il regime comunista si mostrò infatti in tutta la sua fragilità e proprio quell’evento, per molti, rappresentò l’inizio della fine, il crollo dell’Unione Sovietica. 

L’abbattimento delle statue di Lenin in Ucraina è avvenuto in tre diversi momenti: durante l’indipendenza del 1991, durante la Rivoluzione arancione del 2004, e in occasione delle proteste dell’Euromaidan, tra il 2013 e il 2015. La pratica è diventata così diffusa e significativa nella cultura ucraina che con gli anni ha preso anche un nome: Leninopad, che letteralmente significa “La caduta di Lenin”. 

Si tratta del più grande movimento europeo di un popolo che si scaglia contro le proprie statue. Il termine è divenuto di uso comune durante le proteste del 2013, quando il movimento Euromaidan si oppose alla politica del presidente Yakunovich, giudicata troppo filorussa. Quell’anno, a Kiev, cadde un importante monumento a Lenin: una statua rossa alta quasi quatto metri. Altre furono gettate nei fiumi, prese a martellate o semplicemente rimosse per trovare posto in qualche museo.

Non tutti gli ucraini sono tuttavia stati d’accordo con questi gesti: persino alcuni tra i più ferventi anticomunisti si sono scagliati contro il Leninopad, giudicandolo un modo frettoloso di seppellire la memoria della dominazione comunista sul paese; altri considerano l’abbattimento un modo per cancellare elementi del panorama che fanno parte da sempre della città.

Dove un tempo c’era Lenin, oggi l’Ucraina ha dovuto reinventarsi nuovi eroi. A Odessa è stato lasciato un Lenin decapitato, come a rappresentare la memoria con un significato diverso, e su un piedistallo lasciato vuoto ha preso posto una statua di Darth Veder. A Kiev, sul basamento che era stato del Lenin Rosso, oggi c’è una targa e uno spazio vuoto, che di volta in volta viene occupato da proiezioni o istallazioni momentanee. Lì è stata lasciata una scala, che permette ai cittadini di salire e guardare la città da un punto di vista privilegiato, riappropriandosi fisicamente di uno spazio che a lungo è stato di qualcun altro.

Riflessioni finali. 

E tu? Sei d’accordo con l’abolizione dei simboli di un potere che viene dal passato o pensi che sia giusto tutelare la memoria anche attraverso le immagini?

Personalmente credo che il problema non sia tanto nella soppressione di certi monumenti, che potrebbero conservare il loro significato a il loro valore anche fuori dalle strade che li ospitano. Il problema che mi sento di sottolineare è dovuto più che altro alla “geografia” politica e simbolica che questi rappresentano nelle nostre città. Le statue, i nomi delle vie, le iscrizioni ufficiali hanno sempre un significato che raramente è imparziale. È quindi giusto liberare la geografia dei luoghi in cui viviamo da simboli che non ci rappresentano più?


Fonti:

https://www.nytimes.com/2017/08/17/world/controversial-statues-monuments-destroyed.html?fbclid=IwAR0To9IBByrd1Ql1S62jjnw7ngh2KhXyx6kdws7guHfnvLh69hXuqCrC4Tc#click=https://t.co/O4zXZXM3Z8

https://it.wikipedia.org/wiki/Iconoclastia

https://it.wikipedia.org/wiki/Damnatio_memoriae

https://en.wikipedia.org/wiki/Beeldenstorm

https://it.wikipedia.org/wiki/Beeldenstorm

https://blogs.scientificamerican.com/anthropology-in-practice/the-history-behind-the-king-george-iii-statue-meme/

http://www.francescoargento.it/la_testa_di_re_giorgio.html 

https://www.ilfoglio.it/esteri/2020/06/13/news/le-5-500-statue-di-lenin-buttate-giu-320944/?underPaywall=true

Ventinove anni e un nome insolito. Ho cominciato a scrivere storie poco più tardi di quando ho cominciato ad ascoltarle, prima da mia madre, poi da mia nonna, poi da chiunque ne avesse una da raccontare.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!