Mitologia

La ballerina e il serpente: il mito pelasgico della creazione

Cosmogonia: una definizione.

«Cosmogonia» significa «origine del cosmo». Tutte le civiltà antiche hanno miti che spiegano come il mondo si sia formato e in Greci in particolare ne avevano più d’uno: intendiamoci, anche noi abbiamo i nostri, solo che i nostri non sono esattamente miti perché possediamo qualcosa che gli antichi non possedevano: la scienza.

Ecco, forse non vi è mai venuto in mente, ma la scienza ci ha sollevati dall’inventare storie per rispondere a quei grandi interrogativi che l’umanità si porta dietro da sempre: chi siamo, da dove veniamo, chi c’era prima e cosa ci sarà poi. Ma gli antichi, che la scienza non l’avevano, a quegli interrogativi si rispondevano lo stesso e anche in modi decisamente stravaganti e contorti.

 Qualcuno direbbe che è il compromesso che genera creatività, e quando una cosa è sconosciuta il primo modo per conoscerla è lavorare di fantasia. Altrimenti, mi verrebbe da dire, come fanno gli scrittori a inventare e raccontare storie?

Il mito pelasgico: la storia ricostruita.

Al principio c’era il Caos e dal Caos emerse nuda – niente foglia di fico – una ballerina, Eurìnome. Interessante notare che Eurìnome non provenisse da alcuna costola altrui né avesse compagni di genere maschile da cui in qualche modo dipendeva o derivava. Era nata e basta, impastata dagli stessi nembi opachi e impenetrabili di un Caos senza volto e senza nome, senza, aggiungerei, un sesso e una identità, come ogni Caos che si rispetti.

Con tutto quel Caos intorno però Eurìnome non aveva nulla di solido su cui posare i piedi, così divise nel grande tutto-e-niente che la circondava e creò una fascia di mare da una parte e una di terra dall’altra e cominciò a ballare sulle onde.

Danzando si diresse a sud e il vento che le turbinava attorno la sorprese: pensò bene di iniziare da lì, dal vento, la sua creazione del mondo: lo afferrò, lo attorcigliò, lo ammassò, lavorandolo con le mani, ed ecco che il vento si trasformò in un grande serpente, che prese nome Ofione.

Fuori, ovunque fosse, faceva freddo ed Eurìnome ballava per scaldarsi a ritmo forsennato. Ofione la fissava e la desiderò: era il primo essere di sesso maschile a desiderare una donna e anche il primo a prenderla, senza consenso. Ricordatevi questo piccolo dettaglio, perché lo incontreremo spesso nel nostro lungo cammino tra i miti; era quasi oserei dire una “funzione di Propp” ma applicata alla mitologia greca: lui desidera, lui vuole, lei non può fare altro che accettare. Era nato il patriarcato.

Tornando a Ofione: considerando che era un serpente, avvolse Eurìnome con le sue spire e si accoppiò con lei. Eurìnome rimase incinta – altra funzione di Propp applicata ai miti greci: lui che la feconda non si sa come ma la feconda e questo è l’importante.

 Ora, il mito che vi sto raccontando è così antico che era antico persino per gli antichi greci, quindi capirete che qualche buco di trama qua e là è inevitabile. Ebbene, Eurìnome si tramutò in colomba, così, e volò sul mare che aveva creato: arrivò fino al ventre del Caos e qui depose un uovo, l’Uovo Universale. Pertanto se state ancora chiedendovi se è nato prima l’uovo o la gallina, qui la risposta è chiara: la colomba è nata prima di tutti.

Ofione, che era un serpente ma aveva l’istinto dei pinguini, si arrotolò sette volte attorno all’uovo e lo covò, finché questo si schiuse e ne vennero fuori tutte le cose del mondo: il sole, la luna, i pianeti, le stelle, la terra con i suoi monti e le sue colline, i suoi fiumi e i suoi alberi e tutte le sue creature.

La prole era ancora neonata, quando Eurìnome e Ofione andarono a stabilirsi sul monte Olimpo, ma la loro convivenza non durò lungo: presto i loro rapporti si deteriorarono – cliché questo piuttosto riuscito nelle storie del nostro mondo ma ben poco in quelle dei miti greci, dove gli amori finivano tragicamente molto prima della porta di casa – e i due si misero a litigare. Ofione pretendeva di dichiararsi creatore dell’universo e tanto faceva Eurìnome, a voi la parola su chi avesse ragione. Così, per dirla con le parole di Apollonio Rodio, i due, «vinti dalla violenza, cedettero il proprio potere a Rea e Crono», per i quali si prospettano grandi storie a venire, non perdetele.

Non finì lì: Eurìnome, prima del mito a prendere le offese fin troppo sul personale, assestò un bel calcio nei denti di Ofione, che saltarono via e piovvero sulla terra, dove si piantarono e generarono i primi uomini, capostipite dei quali fu Pelasgo, che imparò a fabbricare capanne e a nutrirsi di ghiande e cucire tonache di pelle.

Ofione fu relegato nelle buie caverne sotterranee ed Eurìnome creò le sette potenze planetarie, e cioè il sole, la luna e i principali pianeti, mettendo un Titano e una Titanessa a capo di ognuno: Tia e Iperione al Sole; Febe e Atlante alla luna; Dione e Crio a Marte; Meti e Ceo a Mercurio; Yemi ed Eurimedonte a Giove; Teti e Oceano a Venere; Rea e Crono a Saturno.

Commento abbastanza serio.

Vale la pena spendere due parole sulle fonti di questo mito, perché i miti li conoscono tutti e tutti quasi li considerano immanenti, ma la filologia insegna che un testo, per conservarsi e “trovarci”, deve restare scritto da qualche parte, e non sempre scritto per intero. È il caso di questo mito che è così antico che era già antico per gli stessi Greci, che ce lo hanno tramandato in frammenti e in reminiscenze di opere successive, come le Argonautiche di Apollonio Rodio, dove il canto di Orfeo è paragonato a quello di Eurìnome e Ofione (Arg., 1, 496-505). La ricostruzione completa si deve al poeta e saggista Robert Graves, autore di uno dei più noti studi sulla mitologia greca, I miti greci.

Ma chi lo aveva effettivamente inventato?

Il mito di Eurìnome e Ofione è ricordato come “mito pelasgico” della creazione, indicando con “Pelasgi” un gruppo di popolazioni antiche che avrebbero abitato la Grecia prima della dominazione ellenica. Il poco che i Greci sapevano su di loro era confuso e frammentario: li consideravano estinti, antenati della loro cultura, e discendenti diretti quel primo uomo nato dai denti del serpente Ofione, Pelasgo. Oltre ad abitare i territori dell’Egeo, si sarebbero spinti in alcune zone dell’Asia Minore, di Creta, della Sicilia e dell’Italia meridionale, tanto che la loro storia interessò e appassionò gli studiosi italiani del XIX, che, in pieno Risorgimento, tentarono di rivendicare con loro parentele antichissime, oggi definitivamente escluse da studi archeologici, filologici e linguistici più recenti.

La variante orfica.

Del mito di Eurìnome e Ofione esiste una variante forse più nota, che associa il Caos con la Notte, e dunque con Nyx, il nome che le diedero gli antichi.

Nyx aveva l’aspetto di un uccello dalle ali nere. Fu fecondata dal vento e nel ventre dell’oscurità depose un uovo argentato. L’uovo conteneva Eros, dio dell’amore e del desiderio. Eros era ermafrodito e aveva quattro teste, una di leone, una di toro, una di serpente e una di ariete. Fu detto anche Fanete e svelò tutto quanto era nascosto nell’uovo: il mondo intero, con il cielo sopra e il resto sotto.

Eros e la Notte vissero in una grotta e dalla loro unione nacquero i fratelli Oceano e Teti. Eros/Fanete manifestò su di loro la sua azione, perché Oceano «dal bel corso» cominciò a fecondare sua sorella, facendone la sua sposa.

Questa variante del mito pelasgico è nota come “variante orfica” perché è stata tramandata da alcuni scritti sacri del movimento orfico, sorto in Grecia intorno al VI secolo a. C. e legato alla figura di Orfeo: il cantore sciamano, disceso nel mondo dei morti per riportare in vita l’amata Euridice.


Fonti:

Kàroly Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia.

Robert Graves, I miti greci.

Omero, Iliade.

Apollonio Rodio, Argonautiche.

https://www.almavenus.it/2018/10/16/il-mito-pelasgico-della-creazione/

https://www.prometeomagazine.it/2020/10/03/il-mito-orfico-della-creazione/

Soprattutto scrivo. Sto scrivendo un romanzo e mi diverto a raccontare miti, leggende e curiosità storiche. Nella vita reale insegno Italiano e Storia nella scuola superiore.

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