Indagine sul Vampiro

I demoni vampiri nell’antichità: quali erano gli antenati di Dracula?

Sebbene il vampiro per antonomasia sia quello di provenienza est-europea, storie di esseri soprannaturali che si nutrono di sangue o tornano dall’oltretomba per infastidire i vivi sono presenti quasi ovunque nel mondo da tempi immemori. Il problema è capire dove sia la linea di demarcazione tra il comune demone-spirito malevolo e il vampiro in senso stretto.

Nella nostra idea di vampiro le caratteristiche più evidenti sono tre: la capacità di sopravvivere alla morte, il ritorno sottoforma di corpo incorrotto e l’ematofagia. Il vampiro inoltre, al di là dell’interpretazione che ne danno certi romanzi recenti, è chiaramente un essere malvagio, una specie di mostro che arreca danno ai vivi, causando morte, malattia e contagio; un essere dunque che, per tutte queste ragioni, va neutralizzato. La neutralizzazione avviene con rituali specifici: impalatura, decapitazione o incenerimento, che a seconda dei casi possono avvenire singolarmente o insieme. Si aggiungono: un’evidente carica sensuale, la capacità del vampiro di trasformarsi in animale, come il lupo o il pipistrello, e di contro l’incapacità dello stesso di esporsi alla luce, di riflettere la propria immagine negli specchi o di proiettare un’ombra; ancora: l’utilizzo di strumenti cristiani come deterrenza – l’acqua santa, il crocefisso – o l’aglio, talvolta la necessità che il vampiro venga invitato ad entrare per superare il confine di una casa.

Ora, per trovare una creatura del folklore che presenti tutte queste caratteristiche insieme non si può andare troppo indietro nel tempo: fu la scoperta delle leggende slave, unita alla fascinazione dei romanzieri sette-ottocenteschi e poi all’interesse cinematografico, recentissimo nella storia dell’uomo, a combinarli insieme per creare un personaggio di così grande effetto.

Ma la cosa interessante è che, presi da soli o combinati tra loro in un modo o nell’altro, questi stessi elementi rivelano legami con creature dell’immaginario umano che hanno invece origini antichissime.

I demoni dell’Antica Grecia.

In linea di massima le religioni pagane antiche immaginavano l’oltretomba come un luogo tenebroso, freddo e triste, che negava ogni speranza di felicità ultraterrena. Molto diverso, quindi, dal paradiso cristiano ma chiaramente non dissimile invece dall’inferno, dove tutte condizioni di dolore e tenebra sono portate alle estreme conseguenze. Tuttavia, se nell’idea cristiana l’inferno è un luogo eterno, una specie di prigione invalicabile per le anime dei defunti, nella concezione delle religioni antiche l’oltretomba è regolarmente esposto a momenti di apertura, durante i quali le anime, buone o cattive, sono in grado di passare e raggiungere, anche se per un breve periodo, il mondo dei vivi. Avviene in momenti specifici dell’anno o in particolari ore del giorno.

Da ciò che sappiamo sulla mitologia greca antica, erano numerose le divinità dell’oltretomba in grado di apparire sulla terra per tormentare o molestare i vivi. Si credeva che ad esempio i cimiteri e le necropoli fossero infestate nottetempo da presenze infernali o da spettri terrificanti, come le anime dei morti che non avevano trovato sepoltura o i cani stigi, che accompagnavano la dea Ecate nel suo cammino tra le tombe. Ecate, protettrice della magia e dei crocicchi e signora del buio, regnava sui demoni malvagi, sulla luna, sui morti e sui fantasmi, tanto da essere evocata da chi praticava la magia nera e la necromanzia.

Nel suo seguito c’erano le empuse, demoni femminili, malvagi e lussuriosi, che attraevano i giovani uomini per sedurli e poi cibarsi del loro sangue e della loro carne. Le empuse erano rappresentate ora in forma di bellissime donne, ora come mostri dai capelli fiammeggianti, con natiche d’asino e pianelle di bronzo, o con gambe diverse, una di bronzo, l’altra d’asino. L’accentuazione dei tratti asinini era dovuta forse al fatto che l’asino era considerato un simbolo di lussuria e bestialità. Come una specie di pericolosa bestia infatti l’empusa divorava gli uomini, o succhiava loro le energie vitali. Si credeva abitasse in prevalenza nei boschi e nei crepacci e che uscisse solo di notte, spaventando i viandanti.

Le empuse sono nominate da Aristofane (Le rane) e da Filostrato (Vita di Apollonio di Tiana), che racconta di un giovane circuito da una bella straniera, avidissima di piacere, che si rivela però una terribile empusa. Sappiamo di lei che era solita saziare il piacere degli uomini per poi divorarli e che nutrirsi del loro sangue «le faceva molto bene».

Simile all’empusa era la lamia, una selvaggia bestia col viso di donna bellissima, che si presentava ai viandanti nuda fino alla cintola per attrarli e divorarli.

Secondo il mito originale si sarebbe trattato di una bellissima regina libica, a cui Zeus avrebbe dato il dono di levarsi gli occhi dalle orbite per indossarli a proprio piacere. Zeus si sarebbe innamorato di lei, provocando l’ira di Era, che si vendicò uccidendo i figli che Lamia aveva avuto con Zeus. La regina, lacerata dal dolore, cominciò ad uccidere e a divorare i bambini di altre madri, finché la sua bellezza originaria ne fu completamente devastata e Lamia si trasformò in un orrendo essere mutaforma e insaziabile, destinato ad errare per il mondo in cerca di prede umane.

La storia ci viene raccontata da Diodoro Siculo e fu ripresa da autori latini come Orazio e Apuleio. Quest’ultimo, prendendo forse spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto, narra la vicenda di una giovane della Tessaglia che, sedotta e abbandonata da un uomo, si vendica di quest’ultimo con l’aiuto della sorella. Le due sono presentate come due lamie e durante la notte s’introducono nella casa dell’uomo per infliggergli un terribile squarcio al collo e raccoglierne il sangue, prima di lasciarlo agonizzante con una spugna a tamponare la ferita. L’uomo fa in tempo a raccontare tutto ad un amico prima di perdere la vita.

Sopravvissuta al medioevo, questa storia venne travisata dagli inquisitori del XVI secolo, che la usarono per dimostrare l’esistenza del maligno fin dall’antichità.

Restando nell’ambito della mitologia greca, sono altri gli esseri infernali con tratti più o meno simili ai vampiri. Esiodo parla delle kéres, figlie dalla notte, che personificano la morte violenta sui campi di battaglia. Nell’Iliade le kéres vengono presentate come figure oscure, ammantate di una lunga cappa rossa del sangue degli uomini uccisi, che seguono la dea Eris tra i moribondi e i caduti rimasti a terra. Altre volte sono identificate con le anime stesse dei morti, raffigurate come creature nere e alate, con denti aguzzi e artigli. Si nutrono del sangue di defunti e feriti e necessitano di sacrifici per essere placate.

Similmente oscura poi è la figura di Eurimono, un demone infernale descritto da Pausania come «divoratore di carni»: di colore bluastro, con denti ben in vista e seduto sulla pelle di un avvoltoio, simboleggia la putrefazione che spolpa i corpi fino alle ossa.

Le striges latine.

Ematofagia, sarcofagia o più in generale antropofagia sono dunque le caratteristiche più ricorrenti nei demoni della Grecia antica, a cui si aggiungono: vita notturna, aspetto terrificante, in parte animale, e capacità di mutare forma: tutti elementi che in qualche modo confluiranno nel vampiro. Le stesse caratteristiche compaiono anche in una figura tipica invece del folklore latino: la strix.

Al pari dell’empusa, anche la strix è una donna malefica, descritta in genere come anziana e orribile, capace di mutare forma. Insidia la salute dei vivi, in particolare dei fanciulli, succhiando loro il sangue e soffocandoli con il suo alito velenoso. Secondo le leggende, le striges si trasformano in rapaci notturni che lanciano nel buio grida stridule e orrende, tanto che Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia le collega ad antiche superstizioni legate ad un uccello notturno che chiama appunto strix: probabilmente, ma non è certo, la civetta.

Mentre lamie, empuse e altri demoni greci si nutrono di carne e sangue, le striges prediligono soltanto quest’ultimo: per questo Ovidio ce le tramanda col gozzo pieno di sangue succhiato, mentre Properzio le descrive come «uccelli avidi» con la testa enorme, gli occhi immobili, i becchi sempre aperti, le penne bianche e gli artigli uncinati. Uscirebbero solo di notte per aggredire i bambini e indebolire i neonati fino allo sfinimento.

Dal momento che incarnavano alcune paure ataviche dell’umanità, le striges non scomparvero con la caduta dell’Impero Romano: la loro credenza sopravvisse assieme al nome, che trovò una certa fortuna nelle lingue successive. Da strix infattideriva l’italiano “strega”, ma anche il romeno strigoi, il bulgaro stikje e il greco strigles, termini tutti che designano figure del folklore a metà tra un vampiro e una strega. Se infatti l’idea dell’essere succhia-sangue sia oggi definitivamente associata al vampiro, in passato la distinzione non doveva essere così netta, ma di questo riparleremo meglio in seguito.

Tornando invece allo scopo iniziale del testo, e cioè la ricerca dei tratti vampireschi nelle figure del folklore antico, viene da pensare che alla strix latina manchi una delle caratteristiche principali del vampiro e comune a tutti gli altri demoni di cui abbiamo parlato finora: l’essere di fatto un cadavere che torna in vita. Le fonti romane infatti non descrivono la strix come un demone o come un revenant, bensì come il prodotto di una metamorfosi o di una contaminazione umano-animale che per molti versi la fa somigliare più ad un’arpia o ad una sirena che ad un vampiro.

Anche se, aspetto degno di nota, pare che già i romani si servissero dell’aglio per allontanare le striges, come faranno poi i romeni per scacciare gli strigoi, e la letteratura successiva per neutralizzare i vampiri.

Per il resto, la mitologia latina sembra povera di figure pre-vampiresche: abbiamo notizie di morti che ritornano, le larvae ad esempio, o i lemures, ma in entrambi i casi sarebbe più corretto parlare di antenati dei fantasmi che di antenati del vampiro. Larvae e lemures non si nutrono di sangue umano e sono privi di qualunque fisicità, benché il loro arrivo sulla terra sia spesso sintomo di cattiva sorte o di pestilenza.

Incubi e succubi.

Restano invece da analizzare due figure che, pur mancando di vari attributi tipici del vampiro, presentano un archetipo affascinante, già proprio di empuse e lamie, che col tempo il vampiro farà suo: la componente sensuale. Un incubus è infatti un demone libidinoso di forma maschile che disturba il sonno delle donne: solitamente sdraiandosi sopra di loro, in modo da creare un’angosciante sensazione di soffocamento, oppure abusando di loro. Ne esiste anche la versione femminile, sebbene meno comune, ed è chiamata succubus.

Le storie di incubi e succubi sono antichissime e compaiono in numerose culture. Molte sono sopravvissute fino a noi, dando origine a creature del folklore regionale come la pantafica, l’ammuntadòre o il fantasima, ma anche al nightmare germanico.

Incubus e succubus possono, secondo la leggenda, indebolire chi ne è tormentato, deteriorandone la salute, o farlo impazzire, o addirittura ucciderlo. Dall’unione di un incubus e di una donna potrebbero nascere dei figli, bambini dall’aspetto emaciato, che pur succhiando tanto latte non crescono mai.

Scientificamente l’incubus, con tutte le sue varianti, può essere spiegato col fenomeno della paralisi nel sonno, che produce in chi la prova un senso di soffocamento e costrizione, tale da far pensare di essere schiacciati da qualcosa o da qualcuno. Per quel che c’interessa, però, incubi e succubi hanno in comune col vampiro la vita notturna – dal momento che sono associati al sonno, – la notevole componente sensuale e il concetto di nutrimento umano, che in questo caso non si verifica attraverso il sangue, bensì attraverso le energie vitali.

Vale la pena di ricordare che per tutto il medioevo e negli anni della caccia alle streghe, l’incubus fu associato ai demoni cristiani: il Malleus Maleficarum, ad esempio, condannò al rogo tutte le donne accusate di aver avuto unioni carnali col diavolo comparso sotto forma di incubo notturno.


Fonti:

R. Agazzi, Il mito del vampiro in Europa.

T. Braccini, Prima di Dracula. Archeologia del vampiro.

E. Petoia, Vampiri e lupi mannari.

G. Dumézil, Religione romana arcaica. Miti, leggende, realtà. 

https://it.wikipedia.org/wiki/Vampiro#Origini_delle_credenze_sui_vampiri

https://it.wikipedia.org/wiki/Ecate

https://www.theoi.com/Phasma/Empousai.html

https://digilander.libero.it/catafalco/origini/empuse.htm

https://www.treccani.it/enciclopedia/empusa/

file:///C:/Users/nuisi/AppData/Local/Temp/admin,+Gestor_a+de+la+revista,+Synthesis2015v22a03.pdf

https://it.wikipedia.org/wiki/Lamia

https://it.wikipedia.org/wiki/Ker_(mitologia)

https://books.google.it/books?id=hs0p20bLNVsC&pg=PA262&dq=Kerostasia&redir_esc=y#v=onepage&q=Kerostasia&f=false

https://it.wikipedia.org/wiki/Strige

https://en.wikipedia.org/wiki/Incubus

https://it.wikipedia.org/wiki/Pantafica

https://it.wikipedia.org/wiki/Ammuntadore

https://en.wikipedia.org/wiki/Mare_(folklore)

Ventinove anni e un nome insolito. Ho cominciato a scrivere storie poco più tardi di quando ho cominciato ad ascoltarle, prima da mia madre, poi da mia nonna, poi da chiunque ne avesse una da raccontare.

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